Laurea in sei mesi, ma a che prezzo?

Il necessario progresso tecnologico ci ha portato a dover contare come non mai sulle relazioni e i processi digitali. La necessità di spostare online esperienze che prima era impossibile discernere dalla presenza fisica, ha promosso lo sviluppo della DAD – didattica a distanza – e delle università online, prima considerate un’alternativa comoda per chi oltre allo studio avesse altre attività che lo occupavano a tempo pieno.

L’esperienza universitaria “tradizionale” infatti, quasi a voler imitare il contesto di un college americano, veniva associata alla completa immersione dello studente nelle dinamiche dell’istituzione, costringendolo a vivere, di fatto, nel campus prescelto.

Il processo dell’apprendere non è quindi riconducibile solo allo studio in sé, ma alle dinamiche in aula, alla socializzazione, che include anche la partecipazione ad attività extra che possano arricchire lo studente in quelle che sono considerate soft skill.

Alla luce di ciò, che l’esperienza universitaria possa essere completamente condensata nella esecuzione degli esami, per quanto in via temporanea a causa dell’emergenza pandemica, fa inevitabilmente sentire il sapore di una distopia e di isolamento quasi. Lo studente per compensare la socializzazione e le skill mancanti con le lezioni online deve arrangiarsi sostituendo le chiacchiere a mensa con la creazione di una chat Whatsapp apposita e sperare che questo basti.

Questo significa rinunciare al senso di connessione e appartenenza che dà una vita universitaria vissuta in presenza, o vuol dire soltanto che a cambiare è il tipo di connessione?

Ad oggi, sembra che non si abbia altra scelta, specie se alla luce dei nuovi casi si arrivi a decidere di emanare ulteriori ordinanze che prevedano chiusure preventive per arginare i contagi. Tuttavia, sembra anche che sia la direzione verso cui stiamo inevitabilmente andando.

L’impressione di democraticità e uguaglianza che dà internet, tramite la possibilità di accedere a questa tipologia di istruzione superiore a prescindere da luogo, conoscenze e risorse economiche. Una impressione, certo, perché per considerarla una realtà non vanno considerati i costi della tecnologia che serve per accedere a internet, che vive nel paradosso di essere un mondo in cui potenzialmente vige uguaglianza, previo privilegio di poterci accedere con le risorse adeguate.

Eppure, ora più che mai il trasloco nel digitale è considerato inevitabile e ha portato a guardare con criticità alle strutture tradizionali che, soprattutto in Italia, soffrono ancora di una mancata evoluzione con i nuovi ritmi e le esigenze degli studenti del nuovo millennio, oltre che di un implicito e quasi accettato classismo. La critica che più spicca, tuttavia, riguarda il collegamento tra l’università e il mondo del lavoro, o meglio l’assenza dello stesso. Una mancanza che ai tempi delle partite iva, degli stage sottopagati e della disoccupazione – anzi, inoccupazione – giovanile risulta imperdonabile.

In Italia, inoltre, le università telematiche non godono ancora (per quanto formalmente siano equiparate) della stessa considerazione data alle università “residenziali”, quindi la risposta non può che arrivare da oltreoceano e non può che partire dal privato, dalle stesse aziende che, consce dell’incapacità del pubblico di formare i loro dipendenti del domani, vogliono sobbarcarsi anche questo onere.

Ad agosto, infatti, proprio il colosso Google ha lanciato la sua università, o meglio dei corsi online per un attestato universitario riguardante, nello specifico, le professioni nel mondo digitale.

Non tratterà tutte le branchie di studio, quindi, ma quelle aree che possono beneficiare di una formazione unicamente virtuale e, per renderle ulteriormente fruibili, avranno una durata molto inferiore al corso di studi standard (si parla di soli 6 mesi) con un attestato di laurea finale della stessa valenza di qualsiasi università. Anche il costo sembra essere decisamente competitivo (si parte da 300 dollari) specie per gli Stati Uniti, il Paese con i neolaureati più indebitati al mondo e la possibilità di avere un accesso diretto al mondo del lavoro fa gola a molti.

Sulla carta, sono tutti elementi che andrebbero a implementare il sistema d’istruzione ordinario, compensando le mancanze già descritte e criticate. Ma può essere davvero il futuro della scuola? O è una deriva distopica che farà ulteriormente perdere il contatto fisico necessario al tessuto sociale delle università?

L’iniziativa di Mountain View ha carattere visionario e solo il tempo potrà svelarne la vera utilità ed efficienza, per questo è positivo sperimentare e mantenere ampie le possibilità di scelta per ogni studente che in futuro potrà dover scegliere tra vivere nel mondo occidentale o nel mondo digitale.

Articolo già pubblicato su Il Quotidiano del Sud – l’Altravoce dei ventenni il 19/10/2020