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La musica riparte. Ma come?

Pochi aiuti dalle istituzioni e polemiche per il rimborso dei biglietti. Appunti su un settore (di nuovo) in crisi

Una canzone profetica (Living in a ghost town dei Rolling Stones, scritta qualche mese prima della pandemia da Mick Jagger e Keith Richards). La voce di Diodato che risuona nell’Arena di Verona per Europe: Shine a light, la manifestazione che ha sostituito il classico appuntamento di metà maggio con l’Eurovision Song Contest. Le bacheche di Facebook e Instagram affollate di esibizioni dal vivo che hanno accomunato nomi di primo piano e artisti sconosciuti. E ancora, gli appuntamenti pomeridiani sui balconi, un rito che, dopo un sincero slancio di entusiasmo, non ha mancato di sollevare irritazione e fastidio (forse per colpa delle preferenze musicali dei nostri vicini).

Tutto questo per dire che, negli ultimi tre mesi, la musica è stata una presenza familiare nelle nostre vite, al punto di ridisegnare nel profondo modalità di consumo e di ascolto. Con la graduale ripresa delle attività economiche, tuttavia, il mondo della musica – così come la grande famiglia delle arti, dello spettacolo e della cultura – è stato colpevolmente trascurato dalle istituzioni e da ampi settori dell’opinione pubblica. La cancellazione delle tournée e delle rassegne musicali previste per questa estate (a cominciare da Umbria Jazz e dal Lucca Summer Festival) porta con sé danni incalcolabili che non colpiscono soltanto i musicisti, bensì l’intera comunità dei lavoratori dello spettacolo.

La serrata ha colpito soprattutto autonomi e partite IVA, a cui sono stati riconosciuti aiuti economici che, naturalmente, non possono compensare le perdite dovute alla cancellazione di concerti ed eventi in giro per la penisola. Lo stesso discorso vale ovviamente per gli artisti che hanno dovuto posticipare o rinviare la pubblicazione di singoli e album, stante l’impossibilità di svolgere le consuete attività promozionali. Non dimentichiamo, infine, una categoria che, seppure schiacciata dal primato incontrastato degli streaming, svolge una funzione importantissima per gli appassionati di musica: i titolari dei negozi di dischi, che pure avevano ricominciato a sorridere grazie al prepotente ritorno del vinile in cima alle preferenze degli ascoltatori.

Date le premesse, la festa della musica – che si celebra oggi, domenica 21 giugno – è per molti una giornata di silenzio e di riflessione, l’occasione per denunciare il malessere che vivono da mesi i professionisti del settore, molti dei quali invisibili al grande pubblico. Per queste ragioni, cantanti, autori, tecnici, discografici e direttori artistici hanno lanciato sui social network gli hashtag #iolavoroconlamusica e #festasenzamusica, dissociandosi apertamente dalle circa 200 iniziative che il ministero dei Beni culturali ha promosso in giro per l’Italia.

Da cosa scaturisce questa protesta?

Le misure inserite nel decreto-legge “rilancio” – approvato dal Consiglio dei ministri il 13 maggio – sono considerate lacunose dalle associazioni di categoria, che hanno protestato per l’esclusione dell’industria musicale dai fondi riconosciuti alle imprese e alle istituzioni culturali, pari a 210 milioni di euro. Un altro terreno di scontro con il ministro Dario Franceschini è senza dubbio la creazione di una piattaforma («la Netflix della cultura», una definizione a dir poco superficiale e fuorviante) che dovrebbe ospitare anche la musica in tutte le sue declinazioni: in cosa consisterà esattamente questa piattaforma? Ci sarà spazio per produzioni originali oppure saranno privilegiati materiali d’archivio? Quali benefici saranno riconosciuti agli artisti, ai gruppi, alle compagnie liriche e alle orchestre sinfoniche che decideranno di portare le loro opere sul portale ministeriale? L’accesso ai contenuti sarà gratuito oppure sarà vincolato a un abbonamento? Questioni che non potranno restare a lungo senza risposta.

C’è poi il nodo dei rimborsi per i concerti che sono stati cancellati o rinviati al prossimo anno. Il governo ha stabilito che i rimborsi potranno essere erogati sotto forma di buoni da spendere entro 18 mesi, il cui valore corrisponde a quello del biglietto precedentemente acquistato. Con un vincolo, però: il buono non può essere speso indiscriminatamente per qualsiasi spettacolo, ma soltanto per gli eventi organizzati dall’agenzia che ha cancellato l’evento. Questo provvedimento è stato duramente contestato da Paul McCartney, che ha dovuto cancellare i concerti previsti a Napoli e a Lucca nel mese di giugno: «È veramente scandaloso che coloro che hanno pagato un biglietto per uno show non possano riavere i loro soldi». D’altra parte, le stesse agenzie di promozione degli spettacoli hanno agito in ordine sparso: Barley Arts, Hub Music Factory e DNA Concerti, per esempio, hanno deciso di rimborsare i clienti, mentre D’Alessandro e Galli – il promoter che aveva curato l’organizzazione delle due tappe italiane di Macca – ha deciso di offrire ai clienti un buono da spendere per i concerti che l’agenzia organizzerà in futuro.

Già, i concerti dal vivo. Quando e come sarà possibile tornare in tutta sicurezza a teatro, in un palazzo dello sport o allo stadio per assistere a uno spettacolo? La progressiva riapertura di cinema e teatri ha invogliato alcuni nomi della musica italiana a esibirsi davanti a un pubblico ristretto (fino a 200 persone nei teatri, non più di mille negli stadi): Gianni Morandi ha fatto da apripista con un concerto al teatro Duse di Bologna il 15 giugno. Alex Britti, Diodato e Max Gazzè hanno scelto l’Auditorium Parco della Musica di Roma per riprendere l’attività dal vivo nel mese di luglio, mentre Daniele Silvestri ha confermato la sua performance al Teatro antico di Taormina per la fine di agosto. E gli altri grossi calibri della musica italiana? I nomi del circuito chiamato per convenzione indie? Restano quasi tutti alla finestra. In attesa di tempi migliori. E di stadi, palazzi e teatri di nuovo pieni.