Josè Saramago – L’uomo duplicato

Di Davide Nappi

l'uomoduplicato

Tertuliano Màximo Alfonso è un professore di storia dal nome inusuale.
Conducendo un’esistenza metodica e solitaria, si culla tra le piaghe di un’ovattata indifferenza, nella quale annega ricordi di un più movimentato passato da marito, poi naufragato in un divorzio del quale non ricorda le cause.

 

Alla costante ricerca di una nuova eclettica arma per ammazzare la noia, finisce per accontentarsi di noleggiare un video di serie B sotto consiglio del suo collega di matematica.
Così, dopo aver lavato le stoviglie e rassettato, essersi seduto sulla poltrona, nel bel mezzo del grigiume che contraddistingue il suo vivere, un’aspettata pennellata di luce: lì, in tv, apparizioni fugaci di se stesso.
E’ lui? No. E’ un attore, qualcosa in più di una semplice comparsa, ma sembra proprio lui. E’ uguale.
Chi è? “Una follia”, “una balordaggine”, “un’assurdità, “una copia”, come verrà definito nel romanzo, ma a noi basta “un duplicato”. Un sosia.

La scoperta sconvolge la vita del professore, la cui volontà impellente di incontrare Antònio Claro – l’attore/sosia – lo spinge ad aprire un varco verso il mondo esterno, a rendersi vulnerabile come mai prima, e inevitabilmente a condurre un viaggio alla scoperta di se stesso e del proprio io.

E’ il 2002 l’anno di pubblicazione ed è un po’ il grande tema d’inizio millennio il problema dell’ “apparire” e il senso della propria immagine; problematica che Saramago affronta, come è solito, partendo da un assurdo, un fatto improbabile fin quasi impossibile. Se la diversità d’aspetto intimorisce, cosa avviene nel caso contrario, in caso, quindi, di totale uguaglianza?
E’ un Io fragile, quasi rotto, quello che ci viene restituito, spogliato delle colonne portanti costitutive e protettive dell’ identità, intesa come giusta compresenza di diversità e somiglianza, cucita secondo le direttive del “socialmente giusto”.
Umoristico al punto giusto, il poeta è sempre presente, al fianco di Tertuliano, per offrirci spunti e riflessioni acute e raffinate sulla vita in quanto “Io in relazione”.

Facile potrebbe apparire il richiamo al “Sosia” di F. M. Dostoevskij, romanzo del 1848 in cui pure il protagonista incontrava, durante un’antonomastica dostoevskiana passeggiata serale pietroburghese, un proprio sosia. D’altro canto, però, le differenze sono evidenti, varie e molteplici, partendo dallo stile a finire alla punteggiatura, scorrevolissima in Saramago.

Insomma, che abbia cittadinanza russa o portoghese, il tema dell’alienità del proprio alter-ego è un paradosso che non stanca mai, perché sempre vero e sempre in dubbio.
Ed è proprio da questo che il romanzo trae la propria forza ipnotica, a partire dal titolo fino all’ultima parola, e forse anche dopo. Perché, si sa, ne viaggio alla scoperta del proprio io, l’ultimo capitolo è sempre il penultimo.