Il coraggio di mettersi in gioco e il successo del rischio: Fabio Attanasio e The Bespoke Dudes

 “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”: questa frase, rubata ad A. Einstein, sta a significare che dentro ognuno di noi vive un genio, nascosto a volte, e il nostro compito nella vita è quello di scavare a fondo, nel nostro intimo, e portarlo in vita per fare ciò che ci è stato riservato di fare nella nostra esistenza. Solo facendo ciò per cui siamo nati possiamo trovare il nostro posto nel mondo, ma “se tu dici a un pesce di scalare la montagna il pesce si sentirà fallito perché non può assolvere quella funzione.”

Fabio, classe 1987, napoletano di origine, milanese di adozione e cittadino del mondo, laureato in giurisprudenza in Bocconi, amante – da sempre – del tailoring made in Italy e, dal 2012, vero e proprio #bespokedude.   
Ci conosciamo un venerdì mattina di ottobre per telefono e mi racconta come è iniziata la sua avventura. 


Fabio, ti sei mai sentito quel pesce?

“Assolutamente si. Mi piace tanto questa frase perché ammetto di essermi sentito quel pesce durante l’Università. Ero iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, e studiavo tantissimo per raggiungere i miei risultati, anche perché sono sempre stato molto severo con me stesso, nonché ambizioso, nel senso che sono del parere che se devo fare una cosa allora la devo fare sfruttando il massimo delle mie capacità. Mi rendevo conto, però, che rispetto ai miei colleghi facevo molta più fatica. Questo ovviamente generava dentro di me una pesante dose di insoddisfazione e di sopraffazione, soprattutto. Mi sforzavo di riuscire in qualcosa che non mi veniva naturale, passavo ore sui libri, e a differenza mia, vedevo i miei amici ottenere dei risultati migliori dei miei e in minor tempo. Solo a posteriori ho capito perché! Loro avevano una diversa forma mentis ma soprattutto erano animati dalla passione per il diritto, che, per carità, è una disciplina che ha sempre affascinato anche me, ma che, come ho capito successivamente, non era la mia strada. 

E poi cosa è successo, perché hai deciso di cambiare? Qual è stato il passaggio da “vorrei farlo” a “lo faccio”?

Per caso. Mi trovavo in Argentina, ero un exchange student presso l’UBA di Buenos Aires, e ricordo che passavo intere giornate, anziché studiare diritto ambientale, a navigare nel web… Era appena scoppiato il fenomeno dello street style, ricordo. E lì ebbi l’illuminazione, o meglio, fui illuminato (o fulminato) da una mia collega che, vedendomi assorto nelle mie ricerche, mi chiese “perché non apri anche tu il tuo sito?” Io risi. Dovevo fare l’avvocato, dovevo entrare nel fantomatico grande studio associato. Pensai alla toga che avrei dovuto un giorno indossare, sebbene preferissi di gran lunga immaginarmi in altre vesti; pensai al famoso pezzo di carta, il cui ottenimento avrebbe reso fiera la mia famiglia; pensai al mio futuro… e in realtà non sorridevo. Tornai ad agosto 2011 in Italia, portai a termine gli studi e, con tutta la mia tenacia, raggiusi i miei obiettivi. Ma quella conversazione in Argentina mi cambiò per sempre: è per questo che a marzo del 2012 decisi di cambiare rotta e fare un tuffo nel mare magnum del handmade tailoring, la sartoria, la mia seconda Università.

Fabio ai tempi della Bocconi era quindi un piccolo pesce che voleva scalare l’Everest, lo stesso Fabio che, per qualche ragione, si è poi convinto ad abbandonare il piccone e la corda e a iniziare a fare quello che più gli si addiceva: nuotare. 

Guardandomi alle spalle, in realtà, penso che dentro di me ci sia sempre stata in nuce questa ricerca estetica. Ricordo che da ragazzino, alle scuole medie, ero solito preparare i vestiti per il giorno dopo la sera prima di andare a dormire. E questo rituale era per me una cosa normalissima ma al contempo un momento in cui mi sentivo me stesso: i miei coetanei, magari, all’epoca se ne fregavano, io invece amavo abbinare i colori.. Ecco, se torno indietro e unisco questi puntini, mi rendo conto che, effettivamente, questa passione è dentro me da sempre. Poi ho sempre avuto un rifiuto verso il brutto. Mi spiego meglio: questo è un discorso che esula la possibilità di spesa, anche se obiettivamente è una variabile che aiuta, ma il brutto per me è qualcosa che va oltre, è tutto ciò che non è elegante.      

Come è nato The Bespoke Dude?

In realtà in maniera del tutto a-programmata. Pensa, il nome del sito tra l’altro è nato così, quasi per gioco: in mensa in Bocconi, con il mio amico Matteo. Non ci sono state dietro ricerche, grafici, business plans o studi di mercato: avevo notato sicuramente il fenomeno Ferragni, la nascita della figura dell’influencer, e non c’era all’epoca nessuno che parlava del “classico maschile”. Ci tengo a sottolineare che il mio non è un blog di moda, io non parlo di moda, non mi interessa assolutamente. Ho avuto la fortuna di essere stato il primo a riempire questo gap. 

Come hai iniziato?

Ho iniziato ad andare in giro per le sartorie a raccontare le loro storie, le loro tradizioni, i loro segreti: in sette anni e mezzo ho visitato più di 150 botteghe tra camiciai, scarpai, pantalonai, sarti, cravattai, di tutto. Vedi, la mia anima mi dava dei segnali ben precisi, che decisi di seguire. Iniziai a sentire, finalmente, di aver trovato il mio posto nel mondo: ho cambiato vesti e sono diventato una sorta di reporter 4.0. Probabilmente, in un’altra vita, forse 50 anni fa, avrei fatto il giornalista, ma oggi è un po’ difficile, l’editoria vive situazioni complesse e anche io mi sono adattato all’esigenze del nuovo millennio, dedicandomi, infine, alla mia passione: la sartoria, l’eleganza classica e lo stile maschile. 

Ti ha mosso quindi una passione e hai rischiato. Ci credevi dall’inizio o hai avuto un po’ paura nel tuffarti?

Avevo paura. È chiaro che per due anni il progetto non è stato assolutamente profittevole, ho fatto per un paio di anni il commesso a Milano, esperienza che consiglio a chiunque abbia a che fare con questo mondo e che mi ha permesso di crescere moltissimo partendo dalle basi. Avevo sempre pronte le carte per iscrivermi all’albo dei praticanti, ma era davvero l’ultimissima spiaggia in cui mi sarei arenato. Credevo che, non amando il diritto in sé per sé, avrei odiato di conseguenza anche il mestiere dell’avvocato, e questo mi ha dato sempre di più la forza di rischiare. Ho mai pensato di mollare? No. È vero, i momenti difficili ci sono in ogni percorso. E soprattutto si fanno frequenti quando ti scontri con una lobby che ti vede come una minaccia. Spesso alle prime cene stampa a cui venivamo invitati noi “blogger” appena nati, eravamo visti come dei rivali da chi deteneva il monopolio della comunicazione, ossia gli editori e i giornalisti, che ci hanno messo un po’ ad accettarci e ad accettare la loro lenta perdita di potere. Ma non ho mai voluto mollare. Ero sicuro di aver trovato la mia strada, ed ero convinto di volerla e doverla percorrere. 

Parliamo ora più propriamente di bespoke tailoring. Qual è il valore aggiunto del Made in Italy?

Ci sono due risposte secondo me, una ufficiale e una ufficiosa. Quella ufficiale, e anche vera, è che il valore aggiunto del Made in Italy è la creatività: un asset intangibile e ad alto valore aggiunto. Quella ufficiosa è che, a mio modesto parere, oggi produrre in Italia è un vero atto di mecenatismo: lo fai per il bene del paese. Pagare di più per un prodotto che però puoi acquistare fuori a prezzi più irrisori e di quasi identica qualità è per forza un atto d’amore verso il tuo paese. Se vedi per esempio brand come Suitsupply che è di origine olandese e lavora tessuti italiani in Cina, ti renderai conto che si tratta di un prodotto molto competitivo che poco o nulla avrà da invidiare ad una giacca di confezione italiana. Sulla sartoria, però, parliamo di un altro mondo: è un’esperienza. Non vai dal sarto per acquistare gli abiti da lavoro, vai dal sarto per l’esperienza della sartoria, della scelta del tessuto, della creazione dell’abito, della sensazione di toccare con mano le stoffe che, ovviamente, al negozio non vivi, ma trovi pronti sulla stampella. Un maestro sarto avrà sempre la capacità di gestire i volumi e le proporzioni di un abito in maniera del tutto unica. C’è differenza poi, tra il Made in Italy industriale e quello della sartoria: il primo è puro mecenatismo e lo si stimola specialmente per portare avanti le aziende italiane; per quanto concerne, invece, il mondo della sartoria, il Made in Italy inteso come il gusto italiano declinato attraverso le varie scuole sartoriali locali, quello sì, rimarrà sempre un unicum.  Si può copiare il tipo di punto, ma l’occhio di un maestro sarto difficilmente potrà essere clonato. 

Il sarto poi, se non erro, è tipico di pochi paesi europei.

La sartoria esiste anche in America e in Asia. In Europa ci sono diverse scuole sartoriali che hanno ricevuto e reinterpretato, chi più chi meno, il fenomeno derivante dal mondo militare inglese. Noi italiani, come specificherò nel mio libro che uscirà a breve, abbiamo la scuola caraceniana, fiorentina, napoletana, veneta e quella siciliana occidentale (perché la siciliana orientale subisce spesso le influenze di Napoli).

Esiste una differenza quindi tra sartoria ed alta moda?

Alta moda, nel senso puro del termine, l’haute couture francese, deriva dalla sartoria. La moda come la intendiamo oggi, invece, è produzione industriale e in quanto tale si distanzia dalla sartoria.  

Definiscimi ora il concetto di eleganza.

Un concetto totalizzante, a trecentosessanta gradi, che vede nel vestiario solo il fattore ultimo e più visibile, ultimo in grado di importanza. L’eleganza è il modo di pensare, di comportarsi, di agire! Banalmente, per me, è inelegante anche l’uomo impegnato che tradisce in una relazione sentimentale. E’ un assetto di valori, il rispetto della parola data, l’integrità, il saper vivere.

Anche la forma a volte è sostanza, quindi credo che chi non possieda una cultura dei principi dell’eleganza classica, difficilmente riuscirà ad esprimere una forma che sia esteticamente accettabile. Inevitabilmente, o ti veste qualcun altro o tu decidi quali “panni indossare” ed esprimi al mondo la tua visione, il tuo modo di presentarti e il tuo codice di vita. Non c’è estetica senza etica. 

Chi rappresenta per te il dio del tailoring?

La sartoria non è una religione monoteista: nel senso che così come nella cucina ci sono varie ricette, anche solo per ogni area geografica banalmente, allo stesso modo accade nel mio mondo. Dipende dall’argomento specifico di cui parliamo: ti posso dire chi è che fa un’ottima giacca milanese o napoletana. Il vero conoscitore è colui che sa scegliere –d’altronde, scegliere è alla base dell’eleganza, come già segnala la sua radice latina, eligo – il giusto artigiano per ciò che deve realizzare. Quindi, per esempio, se ho bisogno di un blazer sportivo potrei farlo a Napoli piuttosto che a Londra; se cerco uno smoking per andare all’Opera mi recherei a Londra o Milano: dipende quindi molto da ciò che sto cercando. 

Quindi è vero che l’abito fa il monaco? Se fossi andato in giro in tuta, avresti perso credibilità?

La forma è spesso sostanza. È vero, può esserci un uomo ben vestito che magari non è dentro elegante. Però bisogna riconoscere che se sei vestito in maniera appropriata per l’occasione, ciò dimostra che conosci “le regole del gioco” e questo sarà sempre un punto che andrà a tuo favore. L’abito, quindi, fa il monaco nel senso che, piaccia o meno, è il nostro biglietto da visita. Nell’epoca in cui c’è sempre meno tempo da dedicarci e per conoscerci, nell’era in cui le comunicazioni e le relazioni sono oramai immediate, si riduce all’osso il tempo necessario per farci giudicare e quindi contano di più le prime impressioni. 

Per quanto riguarda me, ho iniziato da ragazzino, non avevo certo abiti da sartoria: non ha influito troppo sul mio abbigliamento, gli artigiani non volevano il benvestito ma volevano solo essere ascoltati e raccontati. Trascorrevo pomeriggi insieme a loro che tagliavano e cucivano e andava bene come ero, però nel mondo del lavoro oggi l’abito adeguato alla circostanza è sinonimo di eleganza. Faresti ridere in jeans alla Scala così come se andassi ad un Cda in frac. Questo è il concetto di adeguatezza che si è perso, perché abbiamo smesso di tramandare ai nostri figli la cultura dei tessuti e dell’abito.

Esistono tanti tipi di abito, di lane e ogni tipo di abito o di lana è adeguato a delle destinazioni d’uso specifiche: c’è la giacca sportiva, il blazer, l’abito di lana pettinata o cardata, semplici accorgimenti che rientrano nel concetto di eleganza ma che si sono persi. 

Parliamo adesso della tua collaborazione con Viganò e della creazione del nuovo brand di occhiali: come è nata? A seguito di ciò, pensi che nel lungo periodo ti basterà raccontare storie o pensi di voler diventare un producer vero e proprio?

Questa è una bella domanda. TBD Eyewear è nato cinque anni fa, ho conosciuto Andrea per lavoro e all’epoca vendeva accessori da uomo made in Italy online. Poi,  insieme, abbiamo deciso di provare a vendere degli occhiali per una questione di coerenza: l’idea era quella di sfruttare al 100% l’handmade italiano. Infatti, mi rivolgevo ad una community che cresceva esponenzialmente e a mio parere bisognava proporre un prodotto coerente all’anima del sito. Ci siamo rivolti, per il primo ordine di dodici occhiali, ad un fornitore che ha deciso di scommettere con noi. Devo ammettere che la crisi economica ci è stata d’aiuto: prima del 2008 lo stesso fornitore probabilmente ci avrebbe chiuso la porta in faccia, eravamo comunque due ragazzini senza esperienza e senza un capitale da investire. Ci tengo a sottolineare che noi abbiamo iniziato da zero, non abbiamo ricevuto finanziamenti esterni né dalle nostre famiglie né da amici, siamo completamente autofinanziati dai nostri risparmi personali. Dicevo, il fornitore era aperto a scommettere sulla proposta di un prodotto classico per una community interessata: oggi ordiniamo circa 10.000,00 occhiali all’anno, siamo in 5 e abbiamo tantissimi progetti; abbiamo investito tanto online, e adesso puoi configurare il tuo occhiale direttamente dal nostro sito web. 

Per quanto riguarda me nello specifico, per il futuro il mio progetto attuale è quello di scrivere un libro, iniziato circa una settimana fa, una comparazione tra le varie scuole sartoriali.  Dopo il libro? Si, credo che farò altre cose. Non mi piace stare fermo.

La figura dell’influencer sparirà?

Credo che si evolverà, cambierà, e già rispetto a 10 anni fa è cambiata tantissimo. Gli operatori del settore dicono che oggi gli influencer stanno morendo, rimangono infatti in vita solo quelli che hanno creato una community specifica essendo coerenti con il loro progetto, mentre gli altri hanno perso terreno ormai. La gente si stufa facilmente, bisogna trovare il modo di entrare e rimanere nella quotidianità di chi ti segue. 

Qual è il tuo valore aggiunto? Perché seguire Fabio Attanasio?

Io fornisco un servizio. Non sono l’uomo fotomodello che viene seguito solo per la “bella foto”, io informo i miei lettori, i miei followers, su qualcosa che magari loro ignorano. In quello che mostro, scrivo e racconto, entro molto nel particolare, sto attento ai dettagli. I miei progetti hanno come obiettivo quello di creare e diffondere la cultura della sartoria. Spero che chi mi segua lo faccia per questo, almeno nel raccontare la poesia del processo o l’esperienza della macchina (perché non lavoro solo con le sartorie, ma anche con brand di orologeria, automotive ecc), mi sento una sorta di filtro tra il mondo degli artigiani, dei brand e il pubblico.

Dal tuo sito si può scaricare gratuitamente un E-book: lo possiamo ritenere un libro di regole di buona eleganza?

Non amo la parola regola: la regola impone rigidità, invece nel mondo dell’abbigliamento si parla piuttosto di principi che dettano dei modi di fare che lasciano libero l’interprete di adeguarli alle esigenze del caso. E’ questo il concetto di stile: interpretare in maniera personale dei principi generici dell’eleganza classica a seconda della propria natura, del proprio posto del mondo, del proprio lavoro e di creare un output esteticamente gradevole. Nell’E-book descrivo delle tecniche, dico la mia sulla base di un gusto e di una determinata esperienza. Sono dei pareri personali, al massimo, dei consigli.

(E-book scaricabile all’indirizzo http://www.thebespokedudes.com/it/p/get-the-ebook-for-free)

Ti lancio una provocazione: credi veramente in tutti i prodotti che sponsorizzi?

Una volta Paul Smith ad una conferenza disse: “dovete sempre trovare un equilibro tra sogni e business”. Se io avessi inseguito solo i miei sogni, forse oggi sarei ancora al punto di partenza; se avessi fatto solo business, avrei accettato delle collaborazioni che non condividevo. Aneddoto veloce. Dicembre 2014, un brand coreano di proprietà della LG Fashion, mi invitò a Seul per la presentazione di un brand con nome italiano, look e immagine italiana, gli mancava solo un brand ambassador, qualcuno italiano che li rappresentasse. Mi offrirono per scattare delle foto 50.000,00 dollari e io rifiutai. Sono orgoglioso della mia coerenza. Decido di seguire una mia onestà intellettuale, spesso quindi scelgo di non accettare delle collaborazioni seppur molto profittevoli. Ad ogni modo, non voglio ergermi a paladino, ma ci sono delle situazioni in cui il prodotto non mi è familiare ma se rientra nel mio focus e nella mia narrazione, allora va bene. 

Sono ormai 7 anni che esiste The Bespoke Dudes: oggi sei il Fabio che volevi essere o c’è qualcosa che non hai raggiunto?

Sono felicissimo dell’uomo che sono oggi, mi sveglio ogni mattina felice. Se ti dicessi che a 32 anni e mezzo ho raggiunto tutti i miei obiettivi sarei un uomo finito, non avrei più una spinta per andare avanti. Porsi obiettivi è il mio modo di vivere, non voglio aspettare la rendita seduto. Se mi guardo indietro sono contento di ciò che ho costruito. La cosa più soddisfacente però è quella di aver creato un team che condivida lo stesso progetto. E poi, ti confesso, vedere gente come Maurizio Marinella – Mammasantissimadelleleganzanapoletana – che si complimenta per ciò che faccio… beh, questo vale più di qualsiasi soddisfazione. Se i “grandi” ti apprezzano significa davvero che stai facendo un buon lavoro.

Dai un consiglio ad un giovane che si trova a fare qualcosa che non gli piace e ha paura di buttarsi. 

Secondo me bisogna cercare, scavare a fondo dentro sé stessi. Io ho avuto la fortuna di poter viaggiare. Apre la mente. Non il viaggio in sé, ma è la capacità che il viaggio ti da di interrogarti e di guardare il problema da un altro punto di vista. Se un oggetto lo guardi da vicino, anche uno spillo, ti sembra grandissimo; visto da lontano lo stesso spillo diventa piccolissimo. Se vuoi cambiare qualcosa e continui a fare sempre le stesse cose, allora la tua vita non cambierà. Chi non ha la fortuna di viaggiare deve guardare nel suo intimo e credere di poterci riuscire. Piuttosto che vivere da infelice è meglio rischiare. Poi io non mi sento in grado di dare consigli, posso solo trasmettere la mia esperienza: era tale il mio rifiuto verso la vita verso cui mi stavo proiettando che ho deciso di buttarmi.

Curiosità – Fabio di tutti i giorni

Sai stirare? Si, certo! Ho insegnato io ad altri a farlo. Ho una cura delle cose assoluta. Devi sapere che le camicie di sartoria hanno il collo intelato e non adesivato, e non è da tutti stirarlo. 

Quante volte al giorno ti cambi? Dipende: se sto fuori tutto il giorno una volta sola, non siamo ai tempi del Gattopardo in cui ci si cambiava tre volte al giorno. Poi, però, se sono fuori con un abito grigio chiaro e la sera so di dover partecipare ad un evento formale, eviterò di presentarmi in grigio chiaro ma indosserò l’abito scuro.

Quanto tempo passi davanti lo specchio?

Non tanto, il tempo di radere la barba al mattino, al massimo per fare il nodo alla cravatta per non sbagliarlo.

Senza cosa non usciresti mai di casa?

Dipende da dove devo andare: la cravatta, se ho un appuntamento di lavoro. 

Don’t overpack: cosa non manca mai nella tua valigia?

Una camicia bianca, anche dovessi andare al mare, quella c’è sempre.

Grazie Fabio, un ragazzo genuino, vecchio stile, educato, piacevole da ascoltare. Un ragazzo che, affascinato dalla nobiltà di quel “saper fare” tutto italiano, è riuscito a sconfiggere il suo conflitto interiore, mettendo a nudo la propria anima. Un ragazzo che ha rincorso i suoi sogni e li ha trasformati in realtà. Una realtà in fieri, 4.0, all’insegna dello stile tipico della tradizione del bespoke tailoring. 

“Non chiamatelo #fashionblog”, e cliccateci su, anche solo per curiosità: (http://www.thebespokedudes.com/it)

The Bespoke Dudes, la piattaforma curata da Fabio e dedicata alla sartoria e all’artigianato di qualità: abbandonatevi a tutte le bellissime storie di puro handmade raccontate da chi, la penna, la muove con la forza della passione.

intervista a cura di Martina Mazza e Martina Vetere