‘I giovani devono viaggiare’ – Capitolo 6: una fuorisede fuori sede.

Il silenzio è un po’ come il buio: bisogna avere il coraggio di guardarlo. E poi pian piano si comincia a vedere il profilo delle cose.

Renzo Piano

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Che lavoro poteva scegliere la “ragazza con la valigia” se non uno in cui la valigia è un elemento ricorrente?

Ovviamente, dopo la laurea, la palermitana espiantata a Milano ha dovuto iniziare a pensare a cosa fare con quel pezzo di carta ottenuto dopo tanta fatica.

Insomma, era inevitabile: era arrivato il momento di cercare un lavoro.

Attratta da tutto e da niente, mi sentivo immersa in un enorme pentolone pieno di ragazzi come me, alla ricerca disperata non tanto di un impiego, quanto di un segno, una conferma che tutto quello che era stato fatto fino a quel momento aveva avuto un senso.

Dopo qualche ricerca e i temutissimi colloqui (che prepararsi per un colloquio è peggio che dover affrontare un interrogatorio), ho preso la mia decisione: avrei provato la strada della consulenza, spinta dalla possibilità che dà, un lavoro come questo, di viaggiare molto spesso.

Beh, innanzitutto credo che qualcuno, tra i costosissimi professori e gli svariati tutor universitari, dovrebbe avere il dovere morale di dirci che non esistono le famose “8 ore lavorative”, e che lo shock di passare dall’avere una vita sociale discretamente movimentata al doversi addirittura ritagliare spazi di tempo vitali, nel weekend, solo per poter fare il bucato, potrebbe causarci,i primi tempi, crisi di nervi qua e là.

Sì, l’impatto con il mondo del lavoro è stato duro, ma pian piano l’essere umano si abitua a tutto, e così anche nelle situazioni più ostili riesce a ricreare un proprio habitat naturale, un equilibrio con la vita circostante: come diceva Charles Darwin, “non sopravvive il più forte o il più intelligente, ma chi si adatta più velocemente al cambiamento”.

E poi, io attendevo speranzosa il momento in cui avrei finalmente dovuto fare la valigia!Immagine 2

Ebbene, il momento è poi arrivato: mi sono trasferita in un paesino della provincia piemontese, nel bel mezzo del verde e della campagna.

Io, tipico esemplare di animale cittadino, sono finita a vivere per 5 giorni a settimana in un albergo, in un paese con un solo cinema, lontana dalla mia amata Milano e con una vita completamente stravolta.

Non ho più tempo libero, non posso incontrare i miei amici quando voglio, non riesco più a programmare la mia vita! Tragedia delle tragedie.

Diffidate di chi vi racconta con grande ottimismo e positività le proprie esperienze lavorative e professionali: io non ci credo che va sempre tutto bene, che nessuno ha mai avuto un momento di cedimento, che ad un certo punto non ci si chieda se sia questa la strada giusta.

Senza il dubbio non ci sarebbero certezze.

Ma mi tengo alla larga anche dai pessimisti cronici, da chi è continuamente depresso o da chi trova sempre un motivo per lamentarsi.

Bisogna saper affrontare tutte le opportunità che ci si presentano, quantomeno con curiosità e interesse, voglia di apprendere e di sperimentare. Nulla è per sempre, e ogni circostanza può arricchirci e trasformarci, dandoci così gli strumenti per poter fare, in futuro, scelte più consapevoli (cosa che, con il solo bagaglio universitario, in pochi riescono a fare).

E poi, a dircela tutta, non ho scelta, devo stare qui: allora perché rovinarsi giornate e umore pensando ogni istante di voler essere da tutt’altra parte, o non aspettando altro che il giorno e l’ora in cui si tornerà a casa?

In fondo, come insegna Jack Kerouac, “no matter, the road is life”, ed è molto meglio pensare alla propria vita come un susseguirsi di esperienze uniche e imprevedibili, che come una gabbia in cui si è finiti per sbaglio e da cui si cerca continuamente di scappare.