Emilio Puccio e i diritti dei minori: intervista a un cittadino del mondo

La carriera di Emilio Puccio, coordinatore al Parlamento Europeo dell’Intergruppo sui diritti dei minori, inizia con una laurea in Giurisprudenza Magna cum laude presso l’Università di Palermo, prosegue con un Master in International Business Management presso la EADA Business School di Barcellona e un Master in Studi Diplomatici presso la SIOI a Roma.
Prima di assumere l’incarico al Parlamento Europeo, è stato assistente legale e amministrativo presso il Consolato Generale Italiano a Barcellona. Ha lavorato presso l’Ufficio di Corporate Social Responsability delle Nazioni Unite – al UN Global Compact e ad Amnesty International USA, nell’ufficio di New York, in seno al team che si occupa della protezione degli individui vittime di violazioni dei loro diritti umani, tra cui migranti, prigionieri e rifugiati politici.

Di che cosa ti occupi al Parlamento Europeo?

Il mio compito è di monitorare l’attività legislativa in tutte le commissioni parlamentari, individuare i dossier legislativi e non, e verificare che sia sempre assicurato l’interesse superiore del minore; mi occupo di garantire che i deputati dell’Intergruppo siano al corrente di tutti gli sviluppi legislativi e se questi dossier possano avere un impatto sui minori.
Attualmente l’Unione Europea dedicherà molta attenzione a due di questi, uno è il Digital Service Act e l’altro è sull’intelligenza artificiale(AI). Ad una lettura più superficiale si potrebbe dire“cosa c’entrano i minori?”C’entrano eccome! L’utilizzo dei social media, la rete stessa ha un impatto enorme sui minori, intesi non solo come utenti, ma anche come consumatori vulnerabili, ad esempio destinatari di spot pubblicitari e come tali bisognosi di una maggiore attenzione da parte del legislatore per assicurarne la piena protezione.

Che cosa si prova a lavorare per i diritti dei minori?

Innanzitutto, secondo la convenzione ONU dei diritti del fanciullo, per minori si intendono gli individui da 0 a 18 anni, intesi come infanti e come giovani adulti.
Mi piace il termine Young Adults, perché i minori sono sì più piccoli, in quanto individui nella fase più critica del loro sviluppo psicofisico e della personalità, ma ciò che trovo bello è che sono meno sottoposti agli stereotipi e ai pregiudizi della società, hanno una maggiore apertura mentale, sono degli agenti di cambiamento – Agents of Change.
Uno di quei casi in cui i minori, se ben informati, possono incidere a livello mondiale è Greta Thunberg, che a soli 16 anni ha dato vita ad un movimento mondiale, mobilitando le piazze di tutto il mondo facendo sentire la sua voce sull’importanza di un cambio di rotta per contrastare il cambiamento climatico, e in virtù del suo formidabile attivismo è comparsa per ben due volte in due audizioni di fronte alla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo. Dal 2017 in occasione della giornata mondiale dell’infanzia, abbiamo lanciato al Parlamento un’iniziativa: The Europe kids want – L’Europa che i bambini vogliono. Questa attività di coinvolgimento effettivo serve ad interagire con i minori in maniera più paritaria, dando la possibilità di esprimere le loro convinzioni senza considerarli come dei soggetti in fieri. I minori non sono solo il futuro, sono anche il presente. Ogni anno insieme a UNICEF e Eurochild lanciamo una consultazione online in cui domandiamo cosa si aspettano da Bruxelles e “Quali sono le cose di cui tu hai più paura?” e contrariamente alla tendenza degli Stati dell’Unione Europea, Italia in primis, i bambini intervistati non hanno paura dell’immigrato, del diverso, percepito anzi come una ricchezza, ma la maggiore preoccupazione è non trovare lavoro una volta finiti gli studi e cosa l’Europa fa affinché possano trovarne uno.

Com’è vivere a Bruxelles? E cosa ti manca della Sicilia?

E’ una città dinamica, dalle immense opportunità. Tra gli aspetti positivi c’è il confronto con un ambiente stimolante intellettualmente che ti motiva, per osmosi, a voler fare sempre di più; inoltre qui ci sono tutte le istituzioni europee, quindi se sei bravo puoi essere facilmente notato e avere molte possibilità di successo nel tuo percorso professionale.
Tra gli aspetti negativi c’è il fatto che ti ritrovi ad isolarti in una bolla che non ti mette a contatto con la realtà effettiva tanto di Bruxelles quanto dell’intera Europa. I rapporti sono più superficiali, non é molto integrata, ha molte anime ma tra di loro non si parlano, quindi questa tanto decantata diversità di Bruxelles in realtà è una diversità che vive vite segregate e questo è triste. E’ una città molto calma, si mangia presto, non si adegua ai cittadini ma impone il suo ritmo. Della Sicilia mi manca molto il clima, il calore delle persone, gli affetti familiari e il cibo.

Parlaci del tuo lavoro a New York.

L’esperienza che ha segnato la mia vita è stata New York alle Nazioni Unite. Ho lavorato in un programma internazionale al United Nation Global Compact, l’iniziativa  che si occupa della responsabilità sociale corporativa delle imprese, cioè come le imprese nel settore privato attraverso il loro lavoro possono tutelare il rispetto dei diritti umani, delle donne, delle popolazioni indigene, dei bambini e delle minoranze in generale, il credere molto nelle scelte di impresa sostenibili che possono, se usate bene, avere un impatto positivo sul mondo. E’ l’esperienza più significativa sia dal punto di vista lavorativo che personale, in quanto vivere in una città come New York mi ha aperto la mente e mi ha messo a confronto con i miei limiti. Sono arrivato da Palermo con un profilo molto alto, tuttavia mi sono confrontato con persone provenienti da tutto il mondo con più esperienze di me e ciò mi ha aiutato a “ridimensionarmi”.
Un’altra esperienza significativa è stata con Amnesty International, dove mi sono occupato principalmente di un programma che si chiama “Individui e comunità a rischio nel mondo” che aiuta i difensori di diritti fondamentali degli individui, perseguitati nei loro Paesi, ad esprimere le proprie idee, e si prende cura degli individui più marginalizzati nelle società, inclusi i migranti e richiedenti asilo o le minoranze razziali vittime di discriminazioni sistemiche in molti settori della vita sociale, tra cui il sistema giudiziario.

Cosa suggeriresti a un giovane che voglia intraprendere un percorso simile al tuo?

L’inserimento in Italia nel mondo del lavoro avviene in maniera tardiva rispetto ai nostri coetanei europei. Quello che consiglio è di cercare anche di mettersi in gioco con esperienze lavorative durante il percorso universitario. Ci vuole tanta pazienza, è una carriera difficile con tanti ostacoli, un mondo molto competitivo e noi rispetto agli altri Paesi siamo svantaggiati a livello linguistico. Qui in Belgio parlano tre lingue, inglese, francese e olandese ed è la norma. Bisogna fare molte più esperienze lavorative, stage, anche non pagati e cercare di viaggiare il più possibile affinando le lingue, non demordere e avere tanta forza di volontà. Think outside the box!

Per lavoro viaggi in tutto il mondo, c’è un incontro speciale che ti va di raccontarci?

Viaggiare in tutto il mondo mi ha reso una persona più aperta ma anche più fragile: è vero che nel momento in cui viaggi, vivi in tanti luoghi che diventano parte di te e si sedimentano. Al tempo stesso mi sento connesso a tanti posti in questo mondo e a volte mi faccio prendere dalla nostalgia; certi giorni mi sveglio, vorrei andare al ristorante di Barcellona che è stato il mio preferito ma non posso farlo! La persona che ha cambiato la mia vita è stata la mia ex ragazza svedese, Lynn, conosciuta durante l’Erasmus. E’ stata molto importante nel mio percorso personale perché mi ha fatto capire di essere io stesso l’artefice del mio destino. Mi piace pensarmi come un cittadino del mondo. L’Emilio di oggi è il risultato di queste esperienze, dei miei anni a Barcellona, della mia vita a Bruxelles, del periodo a New York, della mia esperienza in Svizzera. Aver vissuto in quattro Paesi esteri negli ultimi anni ha fatto si che io da italiano mangio, dal 2007, le uova strapazzate e l’avocado toast con il pane di segale a colazione, le arepas colombiane ed un ceviche peruviano la sera.
Le mie esperienze hanno influito sulle mie abitudini vere e proprie e fanno di me un cittadino del mondo a tutti gli effetti. Sono italiano al 100 per cento e molto legato alle mie origini, però mi sento il risultato di molto più di questo, il frutto di tante esperienze che adesso sono parte di me.

Già pubblicato in versione ridotta su L’Altravoce dei Ventenni – Quotidiano del Sud 6/7/2020