Digressioni di Luglio, il mese che odio maggiormente

Quando io ed il mio diretto superiore in Venti ci siamo ritrovati a parlare dei pezzi da preparare per questo mese, un pensiero ha attraversato la mia mente, gradevole come l’amico idiota che decide di farti un gavettone nel momento meno opportuno. E cioè: siamo già a fine Luglio? Tutto questo mi coglie impreparata.

Vabbè, ho avuto tutto il tempo di imparare a memoria “Everytime” di Stash e compagnia bella quindi aver perso la cognizione del tempo è stato un errore da principiante. Sarà che l’afa è arrivata all’improvviso, che sono ancora sommersa dai libri (nella prossima vita, voglio far la coltivatrice di pomidoro), che non ho programmi per agosto, che ho rinviato la prova costume a settembre supplicando per uno scritto.

Ma l’estate c’è ancora? A quanto pare, sì. Perché vi vedo tutti già scandalosamente abbronzati, vestiti come Mariano Di Vaio o Chiara Nasti, pronti a salpare per Malta o Ibiza o le Eolie con una naturalezza diametralmente opposta alla vergogna con cui io chiedo un solare protezione 50+++ alla commessa.

Cremonini ci ha provato, ad indirizzare pure me verso la modalità vacanziera: “Per quanto sia difficile spiegare, non è importante dove allora conta solamente andare. Comunque vada, per quanta strada ancora c’è da fare…”. Allora lo chiedo a voi, lettori di Venti: dove potrei andare in vacanza? Mete italiane, sia ben chiaro, voglio godermi il patriottismo.
E così prepararmi all’autunno/inverno più esposto, più intimo, più rivoluzionario. Perché esporsi è la prima conseguenza dello scrivere, arriva forse prim’ancora della catarsi. Quando mi chiedono cosa voglio fare da grande, rispondo con il solo possibile verbo, all’infinito: scrivere. Metafora del mio insaziabile bisogno di dare una forma approssimativa ai pensieri che si affastellano, giocano come onde sulla battigia, distruggono i lidi una volta felici, ingoiano tutto, tornano sul fondo e risalgono, cristallini neonati.

Il coraggio e l’incoscienza di esporsi, dunque. Quelli che vanno e vengono, come lo scirocco e Caronte, come i tormentoni che il primo settembre dimenticheremo in fondo alle valigie, insieme ai souvenir e ai granelli di sabbia, ma nel frattempo faranno da colonna sonora ai vari aperiqualcosa.

Il coraggio di metterci la faccia, l’incoscienza di lasciarsi andare alla sola prospettiva di felicità. Rimpiangendo i tempi in cui Bridget Jones scandiva le tempeste emotive, prima dell’arrivo di Syria come icona di stile e Oriana Fallaci e Italo Calvino come assoluto mito. Nell’esatto momento in cui la comfort zone diventa stretta come i jeans 42 di Zara con cui a volte litigo, asfissiante come l’asfalto rifatto sotto il solleone. Quello che cantava Brondi, per i ritorni. Dall’estero, dalle vacanze, da noi stessi. A noi stessi. Con il cuore, il cervello, le gambe, il sangue. Magari più abbronzati. Magari più magri. Magari fieri. Liberi da questo luglio, che è il mese peggiore dell’anno, che è sospensione, stress, attesa, appiccicoso caldo. Che mi costringe ad aspettare le 22 per gustare un piatto di carbonara, che mi rende affamata, poi stanca, poi irascibile, cliché di una me stessa con quindici centimetri di capelli in me e mezzo chilo di autoironia in più (retaggio di una vaschetta di gelato).

Se siete giunti alla fine di questo filone nonsense, simile agli indizi che Marlene King dissemina in sei serie di PLL, meritate un applauso. Ed io merito uno spritz d’incoraggiamento, per tenere duro ancora un po’, per cercare di far funzionare quel che probabilmente avrebbe senso solo in una puntata di Girls, per fare i bagagli e partire. Mica posso ignorare i consigli di Cremonini, no?