Dario Brunori, dai “mattoni” alla musica. Quando rischiare è poesia.

Poesia, ironia, semplicità, profondità e leggerezza insieme e soprattutto tanta ma tanta buona musica. Dario Brunori, talento calabrese in arte “Brunori Sas”, per ricordare il nome dell’azienda di famiglia di cui era titolare il padre e dove lo stesso Dario ha lavorato per un po’. “Un’esperienza breve ma molto importante” come afferma lui stesso, che gli ha fatto capire che la sua strada era un’altra, suonare e scrivere canzoni. Dario Brunori infatti si è messo in gioco e ha scelto la musica, “almeno ci dovevo provare, non volevo avere rimpianti”. Da febbraio è in tour con il terzo e nuovo album, “Il cammino di Santiago in taxi”, registrando tutti sold out. E il primo maggio sarà sul palco di piazza San Giovanni a Roma (l’intervista è stata realizzata qualche giorno prima del concerto del primo maggio, ndr).

Dario Brunori, stai riscuotendo un grande successo, praticamente tutte le date del tour hanno registrato sold out, il pubblico canta con te a squarciagola, ti chiedo, usando una tua canzone “come ci si sente a stare sopra un piedistallo e non cadere”?.

(Sorride)…quella è una riflessione legata a un periodo particolare, non molto facile. Non avevo tutte le soddisfazioni degli ultimi mesi. Determinate cose le scrivi in momenti specifici, periodi che potrebbero anche ritornare, come ho scritto in “Arrivederci tristezza”, ci sono delle parabole umane che mi fanno riflettere. Diciamo che il periodo attuale è certamente migliore rispetto a quello in cui ho scritto quel brano, sono meno timoroso anche rispetto al successo che sto riscuotendo, dal quale cerco sempre di mantenere un certo distacco per non essere travolto dal contesto, ma sto vivendo una fase positiva, anche se cerco sempre di stare allerta. In generale credo che per un artista è sempre bene mantenere un confine rispetto a ciò che succede intorno, dividendo la sfera privata dal personaggio pubblico.

Tra pochi giorni, ci sarà il grande evento. Suonerai per la prima volta con la tua band al Concertone del Primo maggio a Roma. Una bella soddisfazione direi..

Il Concerto ha un richiamo importante e la tematica che tratta lo è altrettanto. Nel mio piccolo cercherò di affrontarla senza eccessiva e stucchevole retorica, anche perché non sta a noi ricordare al pubblico che il paese sta vivendo una situazione estremamente difficile. Non servono inutili slogan. Noi faremo il nostro, avremo uno spazio piccolo nel pomeriggio per il quale stiamo scegliendo i pezzi più consoni alla giornata.

Raccontaci, come nasce la Brunori Sas?

Dopo la morte di mio padre, un evento scioccante che ha provocato diversi cambiamenti nella mia vita, sono tornato in Calabria, a Guardia Piemontese in provincia di Cosenza, per occuparmi dell’azienda di costruzioni di cui lui era titolare. Avevo un gruppo a Firenze e ho abbandonato, almeno momentaneamente, la musica per mettermi a vendere mattoni. Ma quell’esperienza mi è servita, mi ha aiutato a riordinare le priorità e mi ha fatto toccare con mano i problemi reali delle persone, entrando in empatia con tutto ciò. Ogni giorno ero a contatto con gente che voleva costruire la propria casa tra mille difficoltà. Quando sei studente non vivi tutte quelle problematiche. Poi tornavo a casa e prendevo in mano la chitarra e ho iniziato a scrivere canzoni, affrontando anche queste tematiche. Scrivevo i testi e melodie semplici con pochi accordi. Da li è nato il primo disco, che ho inciso con dei musicisti toscani, non esisteva ancora la Brunori Sas, che abbiamo costituito poco dopo.

In poche parole hai preferito suonare invece del lavoro sicuro nell’azienda di famiglia. Ti sei proprio messo in gioco! Daresti lo stesso consiglio a chi ha la tua stessa passione?

Mah, la mia scelta non è stata razionale, per me era più un’urgenza. Non credo assolutamente che un’esperienza sia replicabile, dipende da molte condizioni e ritengo di avere avuto anche fortuna. Come ha scritto Giovanni Lindo Ferretti, anche nel mio caso ‘stavo comodo, ma avevo poca soddisfazione’, lavoravo in azienda si, ma non era il mio mondo. Molte volte la vita ci pone di fronte a delle scelte, io sentivo questa cosa, ci volevo provare e mi è andata molto bene, non potevo più rimandare. Quindi posso consigliare a chiunque di ascoltare la propria voce interna, il proprio istinto, accettando ovviamente anche i fallimenti. Quanto meno si prova. L’importante è non avere rimpianti.

Da Guardia 82 al Cammino di Santiago in taxi, i tuoi album sono cambiati. Proprio quest’ultimo è molto particolare, e ancora più curiosa è la location dove lo hai inciso, un convento a Belmonte, in provincia di Cosenza. Perché?

Non volevo fare un disco in uno studio di registrazione. Con i ragazzi ormai ci sentivamo una band, per cui abbiamo pensato che si poteva registrare il disco in un nuovo ambiente, senza i ritmi dello studio. Abbiamo cercato diversi casali in campagna, anche in Toscana, poi siamo stati invitati a suonare in questo ex convento dai ragazzi che lo hanno in gestione, sapevamo che potevamo anche dormirci. La chiesa era un luogo suggestivo e seppure non sia un credente mi ha permesso di toccare corde che difficilmente tocco nel quotidiano e ci ha dato un suono particolare, che si sente in alcuni pezzi. Ad esempio “Sol come sono sol”, lo abbiamo registrato durante la notte, infatti una cosa che ci piaceva era proprio questa, la possibilità di registrare a qualsiasi ora, se ci veniva l’ispirazione.

Qualcuno ti ha paragonato a Rino Gaetano, calabrese come te, è un paragone che ti piace?

Poverino, se fosse vivo dispiacerebbe a lui (ride)! Scherzi a parte, è un paragone che mi lusinga ma allo stesso tempo non voglio rimanerne prigioniero. A dire il vero non ho ascoltato molti artisti, molte cose le ho scoperte dopo, come lo stesso Rino Gaetano o Lucio Dalla, ma riconosco che nei miei pezzi ci sono tracce del cantautorato anni settanta. Anche di De Gregori conoscevo singoli pezzi e non tutti gli album. Si tratta comunque di artisti importanti che mi piacciono e di cui andare orgogliosi perché hanno scritto una parte importante della musica italiana.

Sei un calabrese legato alla propria terra e come tanti altri giovani ti sei allontanato per un po’ per andare studiare fuori. E’ stato difficile allontanarti?

Sono andato a Siena a studiare Economia, ma a dire il vero non è stato particolarmente difficile, anche perché ho avuto la fortuna di avere una famiglia dietro che mi ha sempre sostenuto negli studi come nella musica, anche se quest’ultima l’hanno sempre considerata un hobby da coltivare ma proseguendo gli studi. Certo mi sono dovuto abituare a vivere in appartamenti che non erano il massimo del comfort, come tutti del resto, ma l’ho vissuta bene. Poi io non sono un nostalgico, mi emoziona l’idea di fare nuove esperienze.

Vivendo fuori è più facile accorgersi dei tanti problemi che ci sono in Calabria, terra martoriata sia dalla criminalità organizzata che dalla politica..

La Calabria ha problemi atavici. Viviamo in un contesto difficile e ne ereditiamo la cultura disillusa e rassegnata. E’ difficile far capire alle persone che una prima rivoluzione deve essere di tipo personale e che certi meccanismi esistono dappertutto. Non bisogna lavorare solo sul fatto che esistano gruppi di criminali legati alla ‘ndrangheta, ma sul fatto che appartengono ad un contesto che va cambiato. Il problema è che tende sempre a prevalere l’interesse personale a scapito dell’interesse comune, per cui la gente vede come alternative possibili sempre le stesse: o la fuga o restare e adattarsi al contesto. Certo non mi sento di giudicare gli altri, perché io sono cresciuto qui, nello stesso contesto. Bisogna cercare di mantenere una propria etica forte. Forse rispetto al passato non siamo più molto chiusi, la possibilità che le persone hanno di muoversi e vedere il mondo che ci circonda può certamente aiutare.

Tu sei stato fra i promotori del contest “Musica contro le mafie”, secondo te far vedere che gli artisti sono uniti contro le mafie è un messaggio efficace o rischia di essere solo uno spot?

E’ una domanda difficile. Le operazioni culturali sono utili, se non nell’immediato, certamente nel lungo periodo, perché è importante dimostrare ai giovani che c’è sempre un’alternativa. Far vedere ai ragazzi che vengono a sentirmi che c’è un loro conterraneo che li fa divertire proponendo un messaggio diverso, parlando il loro linguaggio che è rapido, può essere uno stimolo. Magari su cento ne becchi uno, ma per quell’uno vale la pena averlo fatto. A noi artisti non costa nulla farlo, anzi è un messaggio importante di fronte alla realtà di oggi che tende a disilludere. Occorre uscire dalla retorica.

Da artista emergente, hai creato anche una casa discografica, la Picicca con la quale produci altri giovani artisti dandogli la possibilità di entrare nel mercato musicale. Una bella idea..

Si, abbiamo creato questo progetto di casa editrice ed etichetta discografica. Produciamo tanti artisti come Di Martino, I Gatti Mezzi, Non Voglio che Clara, vari progetti del cantautorato italiano, seguendo le nuove dinamiche del mercato discografico, dando voce ad artisti che ci sono piaciuti e che, a nostro avviso, non sono di nicchia. E da discografico sono felice che anche il progetto Brunori Sas stia andando bene, proprio perché non abbiamo le classiche case discografiche alle spalle e con pochi strumenti stiamo facendo ottimi numeri. Ciò vuol dire che c’è un pubblico che cerca nuovi prodotti. Al momento è un progetto pioneristico, ma cercheremo sempre di mantenere una nostra identità indipendente dalle grandi case discografiche.

C’è chi sostiene che con l’arte e la cultura non si mangia, tu cosa ne pensi, che ruolo pensi che abbiano nella crescita di un paese?

Ovviamente è una grande fesseria. Credo, anzi, mi auguro chi lo afferma lo faccia più per provocazione che con convinzione. Al proposito è interessante un libro di Nuccio Ordine, un professore di Cosenza, “L’utilità dell’inutile”, un saggio sull’utilità della cultura che spesso viene considerata inutile in una visione pragmatica. Lui afferma invece che è proprio la curiosità genuina che migliora le condizioni delle persone, siamo esseri umani, la cultura fa parte della vita.

“Venti” ti fa un grande in bocca al lupo e tu fallo anche a noi.

Quando gioco a tombola, con una smorfia personale dico sempre <<soffiano forte a Paola..Venti!>>
di Gianluca Palma