“Cultura generale”, il ritorno dei Ministri. Ovvero, come risollevare le sorti del rock e del mio autunno

Il primo settembre, sui social, si assiste ad un bizzarro brulicare di citazioni musicali più o meno colte.
Si comincia solitamente coi Green Day e la loro “Wake me up when september ends”, giusto per premettere e/o giustificare l’abbiocco post prandiale in ufficio. Si prosegue con la nazional-popolare “Impressioni di settembre”, made in PFM, perché in fondo gli anni Settanta mancano un po’ a tutti. “Sole di settembre” dei Finley e “Capire settembre” dei Fine before you came si sfidano sulle bacheche delle post adolescenze sbarazzine oppure post –rock/emo core. I palati più fini, poi, così rispolverano la voce di Cristina Donà (“Settembre”, nda) dalle librerie musicali come il chiodo in pelle dall’armadio.
Quel che davvero mi entusiasma, a scapito di questo revival da Capodanno lavorativo, sono le nuove uscite; una su tutte: sto parlando di “Cultura generale”, il nuovo album dei Ministri,booking Godzilla Market, edizioni Universal.
Ammetto di aver atteso l’uscita di questo album con la leggerezza che avevo a sedici anni, quando insomma vivevo di musica, libri e poco più. Alcune cose sono destinate a non cambiare mai, perché vengono alimentate dal buono che questi anni hanno ancora da offrire.

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Cultura generale, dicevo.
Biscione nero con un solo occhio su sfondo arancione in copertina, dodici tracce. Due delle quali, “Balla quello che c’è” e “Estate povera”, già uscite nei mesi scorsi come singoli.
Ma partiamo con ordine. Cosa ci si aspetta dalla nuova uscita di una rock band italiana? Potremmo discorrere per ore di major, indipendenza, novità, post-rock, voci, modalità di registrazione, collaborazioni ma, a dirla tutta, questo chiacchiericcio poco ha a che fare con un disco del genere e mi ha stancata.
Infilando il cd in un qualunque dispositivo di riproduzione ci si accorge, sin dal primo ascolto, che si ha a che fare con un album concreto e diretto. Che non a caso è stato registrato con quel mostro sacro di Gordon Raphael, curatore di Is This It e Room on Fire (album di debutto e secondo disco degli Strokes), nella Funkhaus di Berlino tra il 7 aprile ed il 5 maggio.
“Cronometrare la polvere” apre le danze, con un quadro mai scontato che ritrae l’uomo come “cosa tra le cose”, un ritornello che rimane prepotentemente nelle orecchie ed un tiro che lascia solo presagire la resa di questo brano nella dimensione live. “Balla quello che c’è” è un po’ come il Negroni che gli amici offrono in quel giovedì che sembra lunedì, in quelle sere in cui si ha bisogno di scrollare via di dosso quel che è durato “quanto poteva durare”.
“Estate povera” aveva allungato sui Ministri l’ombra di un esasperato hipsterismo; nel contesto del progetto Cultura Generale, appare esattamente per quello che è: il dipinto kafkiano di una città deserta. Ed il video interattivo, con tanto di barbagianni in pieno stile Harry Potter, ci piace da matti.
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“Le porte” abbraccia la new wave e sfocia in un assolo di puro hard rock: il sinuoso accompagnamento per chi accarezza “le distanze, i confini, anche i muri mentre stai dall’altra parte”.
“Macchine sportive” va di pari passo con “Vicenza” e “La faccia di Briatore”, pura matrice ministerial-sarcastica. “Io sono fatto di neve” è una piccola finestra su un’atmosfera rarefatta, silenziosa, che ha il pregio inestimabile di ricordare il mio libro preferito (“Neve” di Maxence Fermine, NdA) e finisce dritta in tutte le playlist intimistiche. “Idioti” è già un inno farcito di riff prepotenti e insulti delicati. Chi sono gli idioti? I comitati di quartiere, le giunte, i dirimpettai,  e sono così vicini da correre il rischio di diventarlo a nostra volta.
“Lei non deve stare male mai” è poesia, è minimalismo. È un pamphlet tanto semplice quanto chiaro sull’amore, che intendo stampare in caratteri cubitali ed appendere sul muro di fronte al mio letto.
“Il giorno che riprovo a prendermi” ricorda tutto il bello degli anni Novanta, l’adolescenza che ci siamo lasciati alle spalle e – non  me ne vogliano i Ministri – il mood di quelle Certe Notti di Ligabue.
“Vivere da signori” è un brano che, semplicemente, funziona. E lo fa con strafottenza.
“Cultura generale” è (cito testualmente) quella che ci lascia fuori o l’universo in cui Amadeus va a trovare le domande per i telequiz. Un brano così solenne, così lento ed ispirato da non voler aggiungere nient’altro, tanto meno nel descriverlo. “Sabotaggi” chiude l’album e lo fa coinvolgendo l’ascoltatore, lasciando quel piccolo groppo in gola delle battaglie contro gli ostacoli invisibili, magari del sé, magari del noi, chissà?

È un album di suggestioni, di concretezza, di testi che non deludono e melodie che disegnano panorami forti. È un album rock: qualunque significato vogliate ostinarvi a dare al termine, puristi e non, si ritrova in queste tracce.
Dopo un’attesa lunga due anni, i Ministri torneranno dal vivo dal 23 ottobre, in sei date su e giù per lo stivale. Biglietti disponibili sul circuito Ticketone. Se doveste vedere dimenarsi una ragazza con gli occhialoni ed i capelli corti, potrebbe trattarsi della sottoscritta.

NdA: i Ministri sono giunti al cospetto di Gordon Raphael dopo aver spulciato tra i loro cinque dischi preferiti degli ultimi quindici anni ed un corteggiamento durato tre mesi e cinquanta mail.
Probabilmente mi ispirerò a tale costanza.