Come sopravvivere alla sindrome di Bridget Jones

Sono più vicina ai trenta che ai venti ogni giorno che passa, temo i compleanni a venire con la stessa espressione sconsolata delle donne che acquistano creme antirughe sperando –inutilmente– nel miracolo di una pelle più liscia dell’accumulo di pensieri che ha già intasato l’inizio del nuovo anno. Duemilasedici, eh? Ho salutato il suo arrivo in piazza, con un freddo polare a farmi battere i denti e Piero Pelù a cantare Regina di cuori. Inizio però solo ora a rendermi conto che dovrei stilare una lista di buoni propositi, una di brutte abitudini da perdere, una di cose da non fare più. Ho persino acquistato una nuova agenda, ché io in effetti ho una leggera tendenza all’ordine ed al controllo. Alcune cose nel corso dei mesi cambieranno davvero: ci saranno nuove città, nuovi orizzonti, nuovi colori di capelli, nuove colonne sonore. Ma una cosa, su tutte, non cambierà mai: la mia sindrome di Bridget Jones.

Bridget di anni ne ha più di me, è bionda, inglese e nell’adattamento cinematografico del 2001 flirta con Hugh Grant e Colin Firth.
Cosa abbiamo in comune? Gli amici che organizzerebbero last minute un capodanno parigino, l’ironia, la goffaggine, il diario, abitudine alimentari malsane, vizi, oppressione su un futuro da zitella, spiccata capacità a procurare frequenti complicazioni e, su tutte, l’ossessione per il peso. Dopo anni di sfottò e diete, ho raggiunto una banale taglia 42, ma l’immagine che vedo nello specchio è sempre distorta, ricamata sulle misure di un tempo. È così che, ogni volta che il palinsesto delle feste propina quel film, mi ritrovo a guardarlo con gli occhi sgranati, a ridere a crepapelle, a convincermi di essere affetta dalla sindrome della bionda e svampita Bridget. Che poi, diciamocelo: lei non era altro che una donna affetta dalle classiche insicurezze degli ultimi decenni, imprigionata in una prigione delimitata da sbarre facilmente distruttibili.
Riuscirò a ricordarlo, ogni volta che – come lei – riempirò pagine di carta e di blog di paturnie sul mio corpo normale oppure mi ritroverò a mangiare cioccolato, bere vino, lamentarmi con gli amici? No. Perché il 2016 sarà un anno bisestile, ci saranno nuove sfide da affrontare a testa alta, ma non ci faremo spaventare. Un po’ come Bridget che decide di inseguire Mark Darcy in uno dei finali più ridicoli e memorabili al tempo stesso. Con una playlist che lascerà ben poco spazio ai pensieri nefasti.

10) Raise your glass – P!nk
Chi meglio di questo piccolo uragano dai capelli platino può scuoterci dal torpore post natalizio?
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9) Arrivederci tristezza – Brunori Sas
L’orgoglio di casa, insomma. Un piccolo inno al carpe diem, al godere di ogni momento “perché non durerà”.
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8) Somebody to love – Queen
Perché sì. Perché questa canzone sta bene dappertutto, è come un tubino nero, un tramonto primaverile su Roma, l’amaro del Capo, un coro nella curva della squadra del cuore, l’ultima pagina di un bel libro.
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7) Paper Birds – Parachutes
Un crescendo che è un respiro a pieni polmoni, un invito alla meditazione, a fermarsi ad osservare, a sorridere a noi stessi.
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6) Girls just wanna have fun – Cindy Lauper
Perché no? Un inno alla leggerezza e un salto negli anni Ottanta che, in fondo, non ci scrolleremo mai di dosso.
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5) Balla – Thegiornalisti
“E allora balla, balla, balla, balla, balla”, il consiglio più sensato per noi persi dietro alle domeniche, al lavoro che non c’è, alle fissazioni bio, ai social.
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4) Say something – A Great Big World
Un abbraccio, prima di lasciare andare quello che non dovrà seguirci nel corso dei mesi. Che sia un tic nervoso, lo strascico di una storia, una vecchia e cattiva abitudine.
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3) I will wait – Mumford and sons
Per le cose belle che invece aspetteremo, di cui gusteremo l’entrata in scena e la camminata sinuosa, per tutto quello che conquisteremo. Che sia un chilo in più o uno in meno, un viaggio, una promozione, un amore.
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2) Saeglopur – Sigur Ros
Un singolo dal titolo impronunciabile, il finale perfetto della serie “Sense8”. Netflix ci rovinerà la vita sociale, oppure trasformerà i nostri salotti in piccoli bar, chissà? Nel frattempo, pregustiamo il momento prima. Prima del risveglio, prima di un colloquio di lavoro, prima del caffè bollente, prima di un bacio, prima di…
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1)Heroes – David Bowie
“I, I will be king
And you, you will be queen
Though nothing will drive them away
We can beat them, just for one day
We can be heroes, just for one day”.
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David Bowie ci ha lasciato da poco e la sua musica continua a risuonare, a scivolare di persona in persona, trasmettendo un testamento inestimabile. Heroes non è solo un ricordo: è una sorta di promessa, di monito che la Bridget interiore ripete con voce imperiosa. E poco importa se le diete falliranno, se Mark Darcy tarderà o arriverà cogliendoci impreparate, se la piega dei capelli sarà rovinata da un temporale, se continueremo a cenare con vino rosso e pop corn (Oliva Pope docet), se partiremo dimenticando a casa spazzolino e carta d’identità. Sapremo sempre da dove veniamo e dove stiamo andando. E se capiterà di perdere la rotta, ci penserà la playlist a riportarci sulla retta via, qualunque essa sia.